di Alberto Pellegrino
Durante la prima guerra mondiale l’aviazione è stata impiegata per la prima volta come arma di guerra da tutti gli eserciti europei e anche in Italia fu costituito il Corpo Aereonautico Militare. Agli inizi gli arei furono impiegati per la ricognizione e successivamente per azioni di bombardamento e mitragliamento; inoltre i piloti dei caccia dovettero scontrarsi con gli aviatori austriaci in veri e propri duelli aerei. Volare in quegli anni richiedeva una forte dose di coraggio, perché i piloti, per librarsi nello spazio, sfidavano le leggi della natura a rischio della vita. Infatti, gli apparecchi erano costruiti con una fragile struttura di legno rivestita di tela, fatta eccezione per il carrello d‘atterraggio e i cerchioni delle ruote che erano in duralluminio.
Gli ufficiali dell’aviazione militare, che provenivano quasi tutti dall’arma della cavalleria, trasferivano nella nuova arma lo spirito di quel corpo militare, conquistandosi l’appellativo di cavalieri del cielo. Essi si contraddistinguevano per il disprezzo del pericolo, per lo spirito di cameratismo, per alcuni “riti” propri del combattimento “cavalleresco”. Durante i più accaniti duelli aerei i valori della cavalleria prevalevano sull’odio e alla fine di uno scontro i piloti si scambiavano un saluto convenzionale; si rispettava la regola di non infierire mai sull’avversario sconfitto e spesso i piloti scendevano a bassa quota per sincerarsi delle condizioni del pilota abbattuto; si riservavano solenni onoranze funebri agli aviatori caduti sul campo dell’onore.
Il tenente pilota Ludovico Censi
Uno di questi “Cavalieri del cieli” è stato Ludovico Censi (Fermo, 21 maggio 1895 – San Severino Marche, 13 settembre 1964) che, nato da una nobile famiglia, aveva prestato il servizio militare nell’arma di cavalleria con il grado di sottotenente di complemento. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, chiese di far parte del Corpo Aeronautico Militare, conseguendo il brevetto di pilota civile e quello di pilota militare. Con il grado di tenente presto servizio presso la 76ª Squadriglia, dove partecipò a numerose azioni di guerra e fu decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “Pilota da caccia ardito e volenteroso, con sei mesi di servizio al fronte, compiva numerosi voli di guerra e cooperava all’abbattimento di due aerei nemici. Cielo del Piave e del Brenta, 14 dicembre 1917; Con d’Astico e Monte Asolone, 17 marzo-3 maggio 1918”.
Nel maggio 1918 Ludovico Censi, preceduto dalla sua fama di valido pilota, fu chiamato a far parte della 87^ Squadriglia “La Serenissima” dislocata nel campo d’atterraggio di San Pelagio (Padova). Il 17 luglio prese parte un’azione di guerra su Pola ed è stato tra gli aviatori selezionati per compiere l’impresa del volo su Vienna. Sarà uno dei sette piloti che riusciranno ad arrivare sopra la capitale austriaca e a ritornare alla base della squadriglia. Fu insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Superando ogni precedente ardimento, con magnifico volo, affermava su Vienna la potenza delle ali d’Italia, esempio meraviglioso di fede, di tenacia e di superbo valore. Cielo di Vienna, 9 agosto 1918”.
Il 19 agosto 1918 fu trasferito presso la 122ª Squadriglia di stanza nel campo d’aviazione di Ponte San Pietro (Bergamo), dove rimase fino al termine delle ostilità. Alla fine del 1919 segui D’Annunzio per partecipare alla spedizione di Fiume, dove si costituì la Reggenza italiana del Carnaro. Nel Natale del 1920 le truppe del Regio Esercito, dopo uno scontro a fuoco con i legionari fiumani, posero fine all’avventura dannunziana e, con il Trattato di Rapallo, la Dalmazia entrò a far parte del Regno di Jugoslavia, mentre le città di Zara e di Fiume furono annesse al Regno d’Italia.
Al termine la guerra fu istituito il Commissariato per l’aeronautica diretto da Aldo Finzi (uno dei piloti del Volo su Vienna) e Censi fu uno degli ufficiali che collaborarono alla organizzazione della Regia Aeronautica. Nel 1923 abbandonò il mondo dell’aviazione per intraprendere la carriera diplomatica, ricoprendo l’incarico di Console d’Italia in diversi Paesi del mondo. Rientrato in Italia dall’America del Nord nel 1941 in piena seconda guerra mondiale, nel novembre 1943 fu nominato Incaricato d’affari a Budapest e successivamente a Bratislava presso la Repubblica Slovacca con la qualifica di Console di 2^ classe. Nel dopoguerra continuò a ricoprire l’incarico di Console ed fu collocato in pensione nel 1950. Decise di stabilire la sua residenza a San Severino Marche, dove ha abitato fino al 1964, anno della sua scomparsa. Censi è stato sepolto nel Cimitero comunale di San Severino e sulla sua tomba è stato inciso il motto: “Ardito pilota da caccia, con magnifico volo, affermava su Vienna la potenza delle ali d’Italia. 9 agosto 1918”. Il Comune di San Severino gli ha intitolato una via e portano il suo nome la sezione di Macerata dell’Associazione Arma Aeronautica e la sezione di San Severino Marche dell’Associazione Nazionale Arma di Cavalleria.
La creazione della 87^ Squadriglia La Serenissima”
Dopo la ritirata di Caporetto si allestirono nuovi campi di aviazione, tra cui il campo di San Pelagio nei pressi di Padova, che nel maggio 1918 divenne la sede della 87^ Squadriglia “La Serenissima” istituita nel novembre 1917 dal capitano Alberto Masprone, il quale riunì
Riunì un gruppo di piloti veneti bene addestrati, reduci da diverse esperienze belliche e legati da vincoili di amicizia. La Squadriglia, che si fregiava sulle carlinghe del Leone alato di San Marco, aveva partecipato alla battaglia del Piave e compiuto diverse azioni di guerra. In un secondo momento al primo gruppo si erano aggiunti altri piloti provenienti da diverse formazioni e tra questi c’era anche il tenente Ludovico censi.
Nel maggio 1918 si aggregò alla Squadriglia anche Gabriele D’Annunzio, il più famoso e celebrato scrittore italiano, che era stato ufficiale di cavalleria e che nel 1915 si era arruolato nell’aereonautica con il grado di tenente osservatore e aveva compito diversi voli su varie zone del fronte, avendo come pilota il tenente Miraglia che sarà sostituito, dopo la sua morte, dai capitani Bologna, Boulot e Palli. Nel gennaio 1916, durante un volo di prova, a causa di un arresto del motore, l’areo di D’Annunzio era caduto nei pressi di Grado e il poeta aveva perso l’uso di un occhio, rischiando di rimanere cieco come racconta nel Notturno. Dopo una lunga convalescenza, il poeta era ritornato al fronte per condividere la vita di trincea dei fanti con il grado di capitano. Nell’agosto 1917 era ritornato a far parte dell’aereonautica, ricevendo i gradi maggiore per essersi impegnato a proteggere le trincee italiane sulla linea del Carso e le nostre truppe durante la ritirata di Caporetto.
Nel 1917 D’Annunzio aveva ideato un progetto con il quale prevedeva di compiere un raid dimostrativo e pacifico sulla capitale dell’impero austriaco, un’impresa pericolosa e mai realizzata prima per dimostrare agli avversari e al mondo la superiorità dell’aviazione italiana. Dopo vari tentennamenti e ripensamenti causati dalla difficoltà tecniche del progetto, nel 1918 il generale Bongiovanni, comandante dell’Aereonautica militare, dette finalmente l’autorizzazione a compiere il volo su Vienna, avrebbe dovuto avere un “carattere strettamente politico e dimostrativo; è quindi vietato di recare qualsiasi offesa alla città…Con questo raid l’ala d’Italia affermerà la sua potenza incontrastata sul cielo della capitale nemica”.
L’impresa del Volo su Vienna
Nel maggio 1918 D’Annunzio arrivò a San Pelagio con l’ordine di sospendere tutte le attività belliche del campo per dare il via al suo progetto. Si cominciarono a mettere a punto i 14 aerei monoposto Ansaldo SVA che formavano la squadriglia che avrebbe volato con due formazioni a cuneo, ognuna costituita da sette aerei. Gli arei Ansaldo erano armati con due mitragliatrici e potevano raggiungere una velocità massina di 225 chilometri orari; avevano un’autonomia di 6 ore, per cui si rendeva necessario aumentare la capienza dei serbatoi per compiere un volo di mille chilometri. Invece delle bombe ogni aereo avrebbe portato venti chili di manifestini propagandistici, il cui testo era stato scritto da D’Annunzio ma che fu giudicato troppo lungo dall’Ufficio Propaganda, il quale affidò al giornalista Ugo Ojetti la stesura di un secondo volantino in cui si diceva: “Viennesi! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi Italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco, testardo, crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni. Viennesi! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai lo vedete tutto il mondo s’è rivolto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola. Viva la libertà! Popolo di Vienna, pensa ai tuoi casi. Svegliati! Viva l’Italia! Viva l’Intesa!”.
Il Comandante D’Annunzio non aveva il brevetto di pilota e quindi non era in grado di pilotare un aereo monoposto, per cui si prospettava l’eventualità che dovesse restare a terra. Si decise allora di modificare un velivolo SVA biposto e le Officine Ansaldo, a tempo di record, modificarono il serbatoio del carburante dandogli la forma di sedile (ribattezzato “la seggiola incendiaria”), sopra il quale doveva prendere posto D’annunzio, mentre la guida dell’aereo fu affidata al capitano Natale Palli.
La squadriglia, formata dai 14 aerei, il 2 agosto 1918 compì un primo volo di prova, ma gli apparecchi dovettero ben presto rientrare alla base a causa della nebbia che incontrarono sulle Alpi e in Val Padana. Sette velivoli riuscirono a rientrare nel campo di San Pelagio; altri quattro furono costretti a compiere atterraggi in diversi campi, ma tre arei risultarono inutilizzabili per i danni riportati. L’8 agosto il comandante D’Annunzio decise di eseguire una seconda prova con gli undici arei rimasti, ma ancora una volta il maltempo costrinse la squadriglia a ritornare alla base.
In quella occasione, il tenente Censi divenne il protagonista di un episodio che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia: partito in ritardo per noie al motore, stava volando a tutta velocità per cercare di raggiungere la squadriglia che nel frattempo era ritornata indietro. Censi si ritrovo da solo sopra le Alpi Giulie, quando le condizioni atmosferiche avverse si erano trasformate in una bufera che rendeva estremamente difficile il volo. Per cercare di salvarsi, egli fu costretto ad alleggerire l’aereo, sganciando in territorio nemico il carico di volantini che aveva bordo, riuscendo con grande difficoltà a fare ritorno alla base. D’Annunzio temeva che i manifestini gettati in territorio austriaco potessero allertare le difese avversarie, per cui sarebbe venuto meno il “fattore sorpresa” e gli austriaci avrebbero potuto prendere le opportune misure con contrastare l’impresa. Per evitare questo pericolo il comandante decise di compiere il volo il giorno successivo, permettendo anche al tenente Censi di far parte della squadriglia che sarebbe partita per Vienna.
Il folle volo
Dopo avere ottenuto l’autorizzazione dal Comando supremo, alle ore, 5,30 del 9 agosto 1918, gli 11 apparecchi della 87^ Squadriglia si alzano in volo dal campo di San Pelagio. Pochi minuti dopo la partenza, il capitano Alberto Masprone fu obbligato per un’avaria a fare un atterraggio di fortuna; il suo areo fu danneggiato e il pilota si ruppe una mascella. Il tenente Vincenzo Contratti e il sottotenente Francesco Ferrarin furono a loro volta costretti a riportare indietro gli arei per guati ai motori. Una volta superate le Alpi, il tenente Giuseppe Sarti dovette atterrare sul campo di Wiener Neustadt per un arresto del motore e, prima di essere fatto prigioniero dagli austriaci, riesci a incendiare il proprio velivolo. Il 13 agosto (a dimostrazione dello spirito cavalleresco dell’Arma) un pilota austriaco volò sopra il campo di San Pelagio e lasciò cadere due lettere nelle quali Sarti rassicurava sulla sua salute i compagni e i familiari.
Ordinati in una formazione a cuneo, i sette aerei superstiti continuarono a portare avanti la missione con i piloti rimasti: il capitano Natale Palli e il maggiore Gabriele D’Annunzio, il tenente Ludovico Censi, il tenente Aldo Finzi, il tenente Giordano Bruno Granzarolo, il tenente Antonio Locatelli, il tenente Pietro Massoni e il sottotenente Girolamo Allegri. Con un tempo favorevole lo stormo sorvolò la valle della Drava, i monti della Carinzia e alcune città austriache senza essere attaccato dalla contraerea, solo due caccia austriaci avvistarono gli arei italiani e si affrettano ad atterrare per avvertire il Comando, ma la notizia non fu presa in considerazione. Alle ore 9,20 i sette aerei italiani giunsero sopra Vienna e cominciarono a volteggiare nel cielo, mentre una folla, accorsa nelle vie e nelle piazze della capitale, si chiedeva con timore che cosa avrebbero fatto quei velivoli italiani. La limpida giornata consentì ai piloti di scendere al di sotto degli 800 metri di quota, in modo di poter sganciare 350.000 manifestini e di scattare diverse fotografie.
Lo stormo riprese il viaggio di ritorno, scegliendo un altro percorso per evitare eventuali agguati dell’aviazione austriaca. Volarono sopra le città di Wiener-Neustadt, Granz, Lubiana e, dopo avere superato le Alpi, sorvolarono Trieste, dove un idrovolante austriaco si levò in volo senza riuscire a raggiungere la formazione italiana. Gli aerei passarono sopra l’Adriatico e su Venezia, dove D’Annunzio lasciò cadere un messaggio augurale. Alle 12,35 il personale del campo di San Pelagio, dove sono presenti i generali La Polla e Bongiovanni, avvistò la formazione in avvicinamento. Alle 12,40 il tenente Ludovico Censi, giunse per primo sulla verticale del campo ed ebbe ancora la lucidità e la forza per compiere con il suo aereo due perfetti looping (una celebre acrobazia aerea che fa compiere all’aereo un cerchio completo). Appena atterrato, Censi gridò ai compagni che erano corsi a festeggiarlo: “A settecento metri su Vienna”. Gli altri aerei si posizionarono in fila e atterrarono uno dopo l’altro, ma i piloti erano così stremati che dovettero essere aiutati per usciere dalla carlinga prima di poterli festeggiare per l’impresa compiuta.