Leonore Carol “Lee” Israel (Melissa McCarthy) è una biografa di cinquant’anni con una vita misera: per via del suo carattere odioso e del suo alcolismo è senza lavoro, quindi si trova con l’acqua alla gola per tirare a campare. Non sa come pagare l’affitto, né come curare il vecchio e malato gatto. Tutti l’hanno abbandonata, fino a che non incontra Jack Hock (Richard E. Grant), un distinto pusher/truffatore inglese omosessuale, conosciuto qualche tempo prima ad una festa (dove erano entrambi ubriachi): tra i due nasce una forte amicizia. Lee, durante la sua apatica ricerca di lavoro, trova (per caso) due lettere originali di Fanny Brice e decide di rivenderle per fare qualche soldo. Da lì, capisce che il mercato dei collezionisti è avido di questi cimeli: i più ossessionati sono disposti a pagare anche più di trecento dollari per una lettera inedita dei personaggi del passato. La donna intuisce il potenziale e decide non solo di andare alla ricerca di altre lettere, ma addirittura di scriverne di false: inventa gli eventi, le opinioni private e le confidenze dei più conosciuti autori del passato per poi rivendere il tutto. Jack sarà suo complice, ma le cose si complicheranno: i federali cominceranno ad indagare su questo giro di false lettere e Lee avrà problemi con la legge.
Copia originale (Can You Ever Forgive Me?) di Marielle Heller narra le memorie di questa scrittrice falsaria di New York. Una persona sordida, borderline, alcolista e sociopatica. Il suo carattere pessimo è la corazza di una grande debolezza, di una sostanziale insicurezza: non ha mai avuto il coraggio di scrivere di sé, ma solo le storie altrui, e ciò la frustra. Il suo dono è quello di assorbire le vite degli altri, arrivando a comprenderle così profondamente da saper inventare, efficacemente, i loro pensieri privati. Invece, la sua vita personale è inesistente: senza nessuno, non sa legare in alcun modo con chi le vuole (o le ha voluto) bene. In questo Melissa McCarthy è perfetta: si immedesima nel ruolo della misantropa scrittrice con un’efficacia unica. È autentica: l’insofferenza e la sofferenza le riescono con estrema naturalità. Lo stesso vale per l’interpretazione di Richard E. Grant: nel suo ruolo di spalla non risulta un inferiore, ma è un comprimario che rafforza la figura di Lee Israel senza esserne oscurato. Ed è proprio in questi due personaggi la potenza di Copia originale: la singolare vicenda di questa sfortunata biografa regge soprattutto grazie ai suoi ottimi interpreti. La regia è liscia, canonica, quasi didascalica, non entusiasmante, ma almeno chiara e diretta. Un film che oscilla tra il dramma e la commedia, interessante per la singolare vicenda di questa donna tanto sola. Una persona sofferente, in quanto dotata di una genialità limitata, capace solo nella copia, nella reinvenzione, delle vite degli altri: un dono destinato a pesarle come un macigno, condannandola alla solitudine della sua insoddisfazione.
Silvio Gobbi