Home | C’era una volta San Severino… | La Chiesa di San Giuseppe uno scrigno di arte nazionale e internazionale
Euro Net San Severino Marche
La chiesa di San Giuseppe
La chiesa di San Giuseppe

La Chiesa di San Giuseppe uno scrigno di arte nazionale e internazionale

di Alberto Pellegrino

Rispetto ai numerosi edifici sacri presenti nel nostro centro storico che sono sorti tra il Mille e il 1500 e che hanno subito molte trasformazioni, fatta eccezione per i santuari del Glorioso e della Madonna dei Lumi, la Chiesa di San Giuseppe rimane l’unico luogo di culto relativamente più recente che ha conservato il suo impianto originale. Per ricostruire l’importanza storica e il valore artistico di questo luogo di culto si è fatto riferimento al pregevole e documentato studio di Raoul Paciaroni La chiesa di San Giuseppe nella piazza di Sanseverino (Bellabarba Editori, 1999), completato da un ampio apparato di note e da una esauriente bibliografia.

Tra il 1620 e il 1630 viene costruita sulla piazza principale una piccola chiesa intitolata a San Giuseppe su iniziativa del sacerdote Giuliano Tinti particolarmente devoto al santo, un edificio che è stato riportato nella pianta cittadina di Cipriano Divini del 1640. Per la crescente devozione e frequenza dei fedeli, la chiesa dopo più di cento anni mostra una capienza insufficiente a soddisfare le esigenze del culto, per cui Vincenzo Tinti, un discendente della nobile famiglia settempedana, decide di far costruire un nuovo edificio e nel 1768 affida il progetto a Gaetano Maggi, appartenente a una famiglia di architetti trasferitasi nelle Marche dal Canton Ticino (Svizzera), eseguendo numerosi lavori ad Ascoli Piceno e in altri centri della regione. Gaetano Maggi aveva già lavorato per l’Amministrazione comunale per il restauro del Ponte di Sant’Antonio e, durante la costruzione del nuovo Palazzo comunale progettato dall’architetto romano Clemente Orlandi, per aver riprogettato il colonnato di base dell’edificio ritenuto troppo esile rispetto al progetto originario.

Dopo circa trent’anni di lavori, la nuova chiesa viene inaugurata il 6 ottobre 1798 e resiste in modo eccezionale al forte terremoto che colpisce la città nel 1799. La facciata in mattoni a faccia vista risulta elegante nella sua rigorosa geometricità. La parte centrale è rettilinea ed è divisa in due parti: in quella inferiore si trova l’elegante portale d’ingresso in stile barocco, mentre nella parte superiore si apre un finestrone per favorire una illuminazione naturale. Ai due lati vi sono due pareti concave ripartite in due ordini sovrapposti con due ordini di paraste che inquadrano sia la parte centrale sia le parti laterali; sulla copertura s’innalzano al centro una croce e ai due lati quattro cuspidi sormontate da sfere in pietra bianca.

L’edificio diventa la sede della Confraternita del SS. Sacramento e del Corpus Domini che ha dovuto lasciare l’antica sede dell’Oratorio annesso alla Chiesa di Sant’Agostino, che è stato adibito a Sacro Monte di Pietà. La Confraternita porta con sé il patrimonio in denaro, opere d’arte e paramenti; inoltre contribuisce alle spese per la costruzione della nuova sacrestia e per l’acquisto dell’organo costruito da Pietro Nacchini (1694-1769), nato in Dalmazia e naturalizzato veneziano (cfr. M. Tarrini, Nacchini Pietro, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 77, istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2012).

Nella seconda metà dell’Ottocento nella chiesa vengono fatti diversi interventi di restauro e nel 1915 s’istalla l’impianto dell’illuminazione elettrica; altri restauri si fanno negli anni Settanta. Nel 1984 un fulmine danneggia in modo grave il campanile, per cui l’edificio viene riaperto nel 1986; altri danni sono arrecati dal terremoto del 1997, per arrivare al 2013 quando un incendio causato da un cortocircuito dell’impianto elettrico distrugge completamente il primo altare di destra. Dopo un lungo periodo di lavori di restauro che riguardano anche la parte superiore del campanile, la chiesa è stata riaperta al culto il 15 giugno 2024.

La presenza dell’artigianato locale

L’interno presenta un colpo d’occhio di notevole l’eleganza e, per aver conservato quasi intatto il suo originario aspetto, rimane per San Severino Marche l’unico esempio di Barocco che, nella seconda metà del Settecento, era ancora in voga.

La chiesa conserva una vasta gamma di manufatti artigianali di notevole valore a cominciare dalle gigantesche statue dei quattro evangelisti Marco, Matteo, Luca e Giovanni, realizzate nel 1776 da Stefano Anterlenghi, autore anche dei bassorilievi a figura intera collocati nei peducci della cupola e raffiguranti i profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele.

L’altare di destra, dedicato alla Madonna di Lourdes, che è andato a fuoco nel 2013, è stato sostituito da una struttura in legno progettata dall’architetto Luca Maria Cristini (responsabile dell’intero restauro), il quale al posto dell’altare perduto ha ideato una struttura destinata a colmare un’assenza all’interno di quello spazio rimasto vuoto. Si è preferito costruire un elemento capace di alludere nella sagoma e nelle proporzioni a quello esistente, ma realizzato secondo un linguaggio contemporaneo con lamelle di legno multistrato in betulla, assicurate a un supporto metallico calcolato secondo le normative antisismiche. L’intera struttura ha avuto un trattamento estetico che rende le masse più vibranti e un trattamento ignifugo certificato. Sul piano dell’altare è stato ricollocato una quadro ovale rappresentante il Sacro Cuore, opera del pittore locale Lucio Tognacci (1813).

All’altare è stato assegnato il primo premio nel Concorso per le architetture realizzate al 34esimo Seminario di Architettura e Cultura urbana bandito dall’Università degli Studi di Camerino con il Consiglio nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori.

L’altare di sinistra è stato realizzato da maestranze locali secondo una tipologia in voga nel Settecento. Al centro è collocato un quadro raffigurante il Trionfo dell’Eucarestia (1591); nella parte superiore vi è l’Ostensorio innalzato da piccoli angeli e nella parte inferiore il profeta Geremia e altri tre personaggi probabilmente veterotestamentari. L’opera è del pittore sanseverinate Severino di Lorenzo di Giovanni Gentile, pronipote del grande Lorenzo d’Alessandro e ultimo esponente di una famiglia di artisti che ha lavorato a San Severino e dintorni per tutto il Cinquecento.

Severino di Lorenzo di Giovangentile, Trionfo dell’Eucarestia

Sull’altare è stato ricollocato il quadro della Madonna della misericordia, opera di “maniera” che ricorda i soggetti di Carlo Dolci, realizzata dal pittore Giovanni Loreti (1686-1760), nato a Fano ma residente a Fabriano, il quale ha lasciato diverse lavori nelle nostre chiese di San Paolo, Sant’Agostino e del Glorioso. Nello spazio sotto l’altare è conservata la statua di legno scolpito e dipinto del Cristo Morto, fatta nel Seicento da artigiani locali, la quale ha un limitato valore artistico, ma è oggetto di grande venerazione popolare, perché per secoli è stata portata in processione la sera del Venerdì Santo insieme alla statua della Madonna Addolorata che usciva dalla vicina Chiesa di San Giovanni. Nel 1914, per rendere più solenne la manifestazione, è stato commissionato ai fratelli Durano e Paolo Paoloni di Treia un maestoso carro funebre in legno con intagli e decorazioni dorate, sul quale veniva adagiato il corpo del Cristo Morto coperto da un velo bianco.

Un aspetto maestoso ha l’altare maggiore costruito in legno scolpito e dipinto nel 1649 dall’artigiano Antonio Torquati. Un particolare interesse presenta la balaustrata formata da 11 colonnine sagomate e sei mezze colonnine appoggiate ai pilastrini, un manufatto del 1810 realizzato da scalpellini locali guidati da Domenico Rosa. Si tratta di un raro esempio di balaustrata in pietra di gesso proveniente dalle cave dislocate nella località di Sasso e nella frazione di Serralta di San Severino Marche.

La decorazione pittorica

La decorazione pittorica è stata affidata nel 1913 dal canonico Dante Scuderoni al pittore Francesco Ferranti (1873-1951) di Tolentino, il quale ha fornito una prova di grande eleganza formale e cromatica secondo lo stile ecclettico del primo Novecento. Nel catino dell’abside Ferranti ha dipinto un grande affresco a tempera raffigurante la Gloria di San Giuseppe con notevole armonia di linee e vivacità coloristica. All’interno della cupola sono raffigurati nel pannello centrale il patrono San Severino Vescovo e il compatrono San Pacifico Divini, un’allegoria dell’Eucarestia e le quattro virtù cardinali della Prudenza, Fortezza, Giustizia e Temperanza. L’intera decorazione dell’edificio è stata affidata nel 1911 a Mario Adami, un rinomato professionista romano, esperto nell’imitare con la pittura i marmi pregiati che abbelliscono le colonne.

Le opere di Venanzo Bigioli

La Chiesa riunisce alcune importati opere dell’artista sanseverinate Venanzo Bigioli (1770-1854), che è stato uno scultore molto apprezzato per aver lasciato numerosi lavori a Roma, Spoleto, Gubbio, Fano, Loreto, Camerino e Treia.

A San Severino ha realizzato anche la bella statua di San Rocco nell’omonima chiesa e il Crocifisso con il Cristo Spirante nell’Oratorio della Chiesa di San Filippo (cfr. Gualberto Piangatelli, Venanzo Bigioli (1770-1854), intagliatore scultore architetto e la sua bottega artigiana, Centro Studi Storici Maceratesi, 1999, pp. 529-614).

Particolare importanza hanno le sue sculture che si trovano in questa chiesa, dove è stata apposta una lapide dedicata “A Venanzo Bigioli insigne scultore in legno che trasfuse la sua fede e il suo genio nei simulacri del Cristo risorto e di San Giuseppe in questo tempio venerati”. Al 1819 Bigioli risale il San Giuseppe con il Bambino, una statua in legno dipinto con panneggio in tela gessata. La figura del santo si presenta con una elegante modellatura e trasmette una atmosfera di grande naturalezza e serenità. San Giuseppe appare ancora in età adulta con barba e capelli castani mentre regge nella mano sinistra un bastone fiorito simbolo di castità e nel braccio destro il Bambino avvolto in un panno bianco, il quale rivolge lo sguardo verso il padre putativo che lo guarda con amore.

Il San Giuseppe di Venanzo Bigioli

L’altra scultura di Bigioli è stata realizzata nel 1839 sempre in legno colorato e rappresenta il Cristo Risorto come dovette apparire nella mattina di Pasqua alla Maddalena con un corpo scultoreo avvolto nella parte inferiore in un bianco sudario e con la mano sinistra che regge una croce dove sventola una bandiera dorata simbolo di vittoria sulla morte. La statua riesce a coniugare solennità e vivacità di movimento grazie alla perfetta modellatura del corpo del Cristo è stata sempre oggetto di grande venerazione popolare. Secondo un’antica tradizione veniva esposta la mattina del Sabato Santo dinanzi alla chiesa dove si radunava la popolazione che affollava il mercato settimanale, mentre la domenica di Pasqua veniva portata in una solenne processione per le vie cittadine.

 Il Cristo Risorto di Venanzo Bigioli

Il Cristo Risorto di Venanzo Bigioli

In occasione della sua prima esposizione nell’aprile 1840 lo scrittore canonico Anastasio Tacchi le ha dedicato i seguenti versi: “Tra ‘l supplicar del popolo movea /Dai lini avvolto ed il vessillo a lato, /Come vide l’estatica giudea /Fuor dalla tomba il terzo dì svegliato. /E’ questi veramente, ognun dicea, /Di morte il vincitore e del peccato… Dell’arti il genio dalla sede argiva /Qua venne a far sua reggia itali petti; /Ei del tuo braccio i franchi colpi avviva”.

Nel 1840 viene installato il nuovo organo del Nacchini e viene rifatta completamente la cantoria ancora su disegno di Venanzo Bigioli, poi realizzata dall’ebanista sanseverinate Francesco Dialuce (1770-1849), mentre gli ornati, i capitelli e gli strumenti musicali sono opera dello stesso Bigioli. Lo stesso autore ha realizzato i torcieri di legno dorato collocati sulle pareti ai lati dell’altare maggiore. Si tratta di due cornucopie che terminano con un busto di angelo che regge un candelabro, il tutto completato da due belle lampade d’argento.

Le opere d’arte di caratura internazionale

Vi sono infine nella chiesa una serie di opere d’arte che le conferiscono una caratura internazionale a cominciare dalla grande tela del 1630 collocata sull’altare maggiore che raffigura Lo Sposalizio della Vergine, nella quale si vede al centro la figura del Sacerdote del Tempio, a destra la Madonna e a sinistra un Giuseppe ancora giovane (contro la tradizione che lo voleva un vecchio). Il quadro, che si fa apprezzare per la vivacità dei colori e per gli influssi dei Caracci, è una copia del dipinto fatto nei primi anni del Seicento dal pittore Horace le Blanc (1575? – 1637) e che si trova a Roma nella Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. Questo pittore francese è stato un apprezzato artista, che ha soggiornato per qualche tempo a Roma e a Venezia, ma che è vissuto stabilmente a Lione, dove ha lasciato la maggior parte delle sue opere. Sull’autore di questo quadro, che rivela comunque una buona mano, sono state fatte diverse attribuzioni a cominciare dal sanseverinate Giulio Lazzarelli, per passare addirittura ad Annibale Caracci, per finire con Domenico Cresti detto il Passignano (1559-1638), un’attribuzione del pittore Filippo Bigioli ma non supportata da nessun documento, per cui l’attribuzione rimane ancora incerta.

Horace Le Blanc (copia) Sposalizio della Vergine

Sul nuovo altare di destra è stato ricollocato, dopo il restauro, il quadro del pittore Ernst van Schayck di Utrecht (!567-1631) che raffigura la Vergine col Bambino tra i santi Giovanni Battista e San Giuseppe, mentre in basso sono ritratti San Carlo Borromeo e San Filippo. Questo pittore, arrivato dalle Fiandre, si è stabilito a Castelfidardo ed è stato particolarmente attivo nella regione, lasciando numerose opere a Castelfidardo, Filottrano, Macerata, Matelica, Recanati, Montelupone, Mondolfo, Ripatransone, Sassoferrato e Serra dei Conti, tutti lavori che mostrano un’armonia nel disegno e nel colore con un linguaggio volutamente vicino alla religiosità popolare (cfr. Pietro Zampetti, La pittura nelle Marche. Dal Barocco all’età moderna, terzo volume, “Dalla Controriforma al Barocco”, Firenze, 1992, p. 232).

Ernst Van Schayck, Sacra Famiglis, S. Filippo e S. Carlo Borromeo

La terza presenza internazionale è quella dello scultore di Angers (Francia) Denis Plouvier (1647-1699) fatto venire appositamente da Roma a San Severino Marche nel 1671 per costruire e intagliare la monumentale cantoria nella Cattedrale di San Severino al Monte destinata a contenere l’organo di Giuseppe Catarinozzi (1628? – 1684), uno dei più grandi organari del Barocco italiano. L’indoratura della cantoria è stata invece eseguita dal pittore francese Gilbert Durand.

Nel 1674 Plouvier riceve l’incarico di scolpire in pietra e travertino il Fonte battesimale della chiesa di San Giuseppe, il quale ha alla base due testine di cherubino ed è sorretto da due grandi angeli vestiti con un ampio panneggio, una composizione che riflette per equilibrio ed eleganza il gusto del Barocco romano. Al di sopra è stato collocato un bassorilievo dello stesso autore raffigurante il Battesimo di Gesù nel fiume Giordano, mentre sul lato sinistro un angelo regge la Croce e un altro le vesti del Nazareno.

Vi sono infine degli arredi d’altare in legno dorato di pregevole fattura che sono stati fatti sempre dal Plouvier nel 1674 e che sono una ulteriore dimostrazione della validità di questo autore nel creare sculture lignee. Si tratta di cinque reliquiari (sei in origine) costituiti da mezzibusti che rappresentano i santi martiri Beatrice, Antonio, Marino, Silvio, Severino e Clemente, con al centro una piccola teca per contenere le reliquie del santo. Siamo di fronte ad opere estremamente raffinate con personaggi a capo scoperto e ricchi panneggi destinati ad ornare l’altare maggiore, rivolti tre a destra e tre a sinistra del tabernacolo.

Denis Plouvier Busti reliquiario

Deni Plouvier Angeli porta torce

Denis Plouvier Candelabri

A completare l’arredo dell’altare maggiore, il Plouvier ha scolpito sei Angeli porta torcia in legno dorato (ne sono rimasti solo due), che avevano nella mano destra uno stelo metallico destinato a reggere un grosso cero (torcia); il corredo era completato da sei Candelieri con un putto porta cero (ne sono rimasti solo due). Le opere mancanti sono scomparse negli anni Sessanta, perché nel 1958 erano state inserite nel catalogo delle opere d’arte mobile dalla Sovrintendenza delle Belle Arti.

Plouvier ha eseguito anche nella chiesa di Aliforni il Battistero in legno a forma di Tempio con tre formelle intagliate in funzione di sportelli con quella centrale che rappresenta il battesimo di Gesù nel Giordano (cfr. Otello Marcaccini, Dionisio Pluvier intagliatore, L’Appennino Camerte, n. 36, 16 settembre 1978, p.4; Raoul Paciaroni, L’organo monumentale nel Duomo Antico di San Severino Marche, Città di San Severino Marche, 1988, pp. 20-25)

Centro Medico Blu Gallery